Doppio appuntamento: Stefano Zenni - Roberto Dani

ingresso: Libero

artisti

Stefano Zenni | Autore del libro

Roberto Dani | batteria - percussioni

Stefano Zenni
Che razza di musica

Presentazione del libro a cura di Stefano Zenni e Alessandro Rigolli

Musica “nera”, jazz “bianco”, cantanti neri che possiedono il senso del “soul”, lo swing come attitudine “naturale” dei neri americani: quale fondamento hanno questi luoghi comuni che fin troppo spesso compaiono persino negli scritti della critica musicale professionista? E da quali ideologie e vicende storiche sorgono?

Stefano Zenni, uno dei più noti musicologi italiani e direttore artistico del Torino Jazz Festival, ha dedicato al rapporto fra razzismo e musica il suo nuovo saggio dal titolo Che razza di musica. Jazz, blues, soul e le trappole del colore, appena pubblicato dalla casa editrice EDT (in libreria dal 26 maggio) e presentato in anteprima al Salone del Libro di Torino. “Che razza di musica” esplora i diversi modi in cui i concetti di “bianco” e “nero” hanno plasmato la nostra concezione della musica statunitense, soprattutto il jazz, il blues e il soul. I significati stessi di “bianco” e “nero” come categorie pseudo-razziali sono fluide, instabili, mutevoli nel tempo.

Ad esempio gli immigrati italiani o ebrei erano considerati non del tutto “bianchi”, e hanno adottato strategie musicali di dialogo con le musiche afroamericane o di assimilazione nel melting pot statunitense. Facendo ricorso alle più recenti acquisizioni della genetica e della storia culturale, Stefano Zenni porta alla luce le tante trappole del concetto di “identità” e conduce una critica profonda e documentata al cosiddetto “essenzialismo” jazz – la diffusa teoria neoconservatrice americana che ritiene il jazz una musica radicalmente “nera” – in favore di una nuova concezione di continuità tra le culture.

Non ci stancheremo mai di ricordare che le persone, le loro espressioni e i movimenti culturali, trascendono le categorie. È lì che sorge il piacere – anche artistico – dell’inafferrabile complessità della vita.

A seguire

Roberto Dani
Solo per batteria praparata

“A cavallo tra composizione pura ed improvvisazione, Dani si è da tempo distinto nel panorama internazionale come uno dei più straordinari musicisti in attività, autore di performance che coinvolgono mente, corpo e suono in un tutt'uno di grande potenza espressiva”.

Carlo Boccadoro

“Musicista indefinibile Dani ha creato uno spazio che va oltre i dualismi fino all’ambito dell’immanenza: uno spazio che proprio per questa ragione è indefinibile. È difficile pensare l’immanenza: il modo per avvicinarsi ad essa è vivere l’esperienza. Non bisogna ridurre questo concerto alle etichette: ciò che conta è quanto la precisione del dettaglio sonoro e dell’azione scenica abbia trovato la sintesi tra naturale e soprannaturale”.

Elia Moretti

Al centro della lunga ricerca poetica di Roberto Dani è sempre stato il rapporto fra musica e corporeità. Un rapporto ancestrale, che sta probabilmente alle radici stesse dell’espressività musicale. Gli strumenti percussivi sono stati probabilmente la prima forma di suono prodotto dall’uomo. Nelle performance dell’artista veneto non entra solo in gioco il suo vasto campionario di oggetti sonori (spesso utensili della vita quotidiana), ma è il corpo stesso del performer, in qualche maniera, a diventare strumento di comunicazione con il pubblico come in un rito infinitamente antico. La musica di Roberto Dani è solo apparentemente astratta; in realtà trova il suo senso in una sorta di narrazione fatta con i suoni della materia. Lo stesso concetto di batteria preparata appare, a ben vedere, insufficiente a spiegare l’intenzione poetica profonda.

Quando Dani applica delle corde sopra un tamburo, facendolo diventare cassa di risonanza delle corde stesse, altro non fa che ripetere i gesti arcaici di coloro che ascoltavano il mondo circostante, anche quello non animato, e trasformavano la quotidianità in esperienza musicale per evocare spiriti, lanciare segnali, raccontare. D’altronde questo rito di trasformazione ha riguardato non solo le epoche antiche. I jazzmen delle origini utilizzavano le tavole da bucato come percussioni, o le bottiglie come strumenti a fiato. 

Avanguardia e primitività, elaborazione teorica e immediatezza s’incontrano quindi sempre nelle performance di questo singolare artista.  Non è certo un caso che egli affidi sempre di più la documentazione del suo lavoro ai mezzi visivi piuttosto che alle incisioni discografiche 

Marco Buttafuoco